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    La devianza minorile e la giustizia riparativa: un’opportunità per il reinserimento sociale dei minori

    Non è semplice dare una definizione univoca del concetto di devianza: la potremmo definire come un insieme di comportamenti che infrangono un complesso di valori che una determinata formazione sociale, in un preciso momento storico, ha ritenuto come validi e fondanti presupposti del proprio vivere civile.

    Allo stesso modo risulta oltremodo difficile stabilire quali siano i reali fattori dai quali scaturisce la devianza in ambito minorile. Spesso questi fenomeni vengono troppo semplicemente catalogati come conseguenza diretta di isolati casi di abbandono e di miseria, oppure come il risultato delle crisi familiari e della debolezza dei valori, finanche del carattere malvagio e criminale dei soggetti. 

    Tali teorie si sono dimostrate, nel corso degli anni, inadeguate per spiegare il fenomeno della devianza minorile, se non addirittura fallaci e fuorvianti.

    Spesso i minori che commettono reati tendono ad essere esclusi dalla società e questo perché vengono inquadrati come dei soggetti da cui è meglio stare lontani. In ambito sociale, ci si riferisce a loro, come soggetti malati o cattivi, dimenticando, a volte troppo facilmente, che si tratta di ragazzi molto giovani che presentano delle difficoltà nel costruire una propria identità, convinti di poter “sembrare” adulti mettendo in atto una serie di comportamenti trasgressivi e violenti. 

    Nel corso degli anni in Italia, come anche in Europa, si sono contrapposti, da un lato, orientamenti che ritengono necessaria una maggiore repressione dei comportamenti penalmente rilevanti (anche con la possibilità di anticipare l’età imputabile prima dei 14 anni), e, dall’altro lato, orientamenti che si basano sulla “giustizia amica dei minori”, la cosiddetta “giustizia riparativa”.

    La giustizia riparativa – o Restorative Justice, come viene denominata nel dibattito internazionale, si caratterizza per il ‘risultato riparativo’ (restorative outcome) perché ha come finalità la riparazione dell’offesa arrecata alla vittima del reato. Tale riparazione, è da intendersi non semplicemente in una prospettiva compensatoria e/o di indennizzo, ma soprattutto come la possibilità per vittima e reo di progettare, in modo condiviso, un agire responsabile per il futuro. La giustizia riparativa rappresenta un modello di giustizia multiforme, entro il quale si collocano anche i vari processi di mediazione penale.

    Per meglio comprendere di cosa parliamo quando ci riferiamo alla giustizia riparativa è utile richiamare la Direttiva 2012/29/UE (art. 1, lett. d) che definisce ‘giustizia riparativa’: qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale.

    I processi riparativi sono percorsi in cui la vittima, il reo e, dove è opportuno, ogni altro individuo o membro della comunità che abbia subito le conseguenze di un reato, partecipano insieme, previo consenso liberamente manifestato, alla risoluzione dalle problematiche che hanno avuto origine con la commissione dell’illecito penale, generalmente con l’aiuto di un mediatore. Per le finaità riparative, un ruolo importante rivestono le attività socialmente utili aventi lo scopo, da un lato, di corrispondere ai bisogni individuali e collettivi lesi dall’azione criminosa e, dall’altro, di realizzare la reintegrazione sia della vittima che del colpevole. 

    La giustizia riparativa in ambito minorile assume una indubbia valenza sociale e pedagogica in grado di aprire, all’interno del procedimento penale, un dialogo con i minori autori di reato utilizzando una prospettiva relazionale, fondata sul confronto/dialogo tra autore di reato e vittima. Proprio in tema di giustizia riparativa il contesto minorile ha ricevuto notevole impulso a seguito di quanto disposto dal Ministero della Giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità – Ufficio Centrale per la Giustizia minorile – attraverso le “Linee di indirizzo e di coordinamento in materia di mediazione giudiziaria penale e di riconciliazione tra vittima e autore di reato. Avvio di attività sperimentali” del 9/04/1996, in cui si prende atto che “appare, infatti, necessario definire in modo esaustivo i concetti di giustizia riparativa e di mediazione penale e sostenere lo sviluppo di nuovi programmi riparativi, in modo quanto più omogeneo possibile, su tutto il territorio nazionale” (Premessa alle linee di indirizzo).

    Difatti, il sistema penale minorile considera la pena ed il processo come opportunità educative: il codice di procedura penale minorile – DPR 448/88 – ha come principio cardine l’uso residuale della restrizione della libertà, proponendo una serie di interventi, nei confronti degli adolescenti, finalizzati a non interrompere il loro percorso evolutivo e a coadiuvare e sostenere lo sviluppo di una positiva identità sociale.

    La misura più importante, individuata quale possibile esito del procedimento penale, consiste nel progetto di messa alla prova, connotato da una forte valenza educativa perchè si pone l’obiettivo di responsabilizzare il minore autore di reato rispetto all’azione commessa.

    Numerosi studi di carattere multidisciplinare hanno dimostrato che è possibile influire positivamente e ridurre, altersì, il rischio di recidiva attraverso interventi con gli adolescenti autori di reato, che non siano orientati in senso punitivo, bensì rieducativo. 

    Questa è la finalità con cui opera anche il C.A.M. – Telefono Azzurro che, nel corso degli anni, ha collaborato nell’ambito di progetti di messa alla prova, preoccupandosi non solo di responsabilizzare gli adolescenti rispetto al comportamento deviante avuto, ma soprattutto ha realizzato progetti educativi per la costruzione positiva della loro identità e finalizzati al loro reinserimento sociale.

    Avv. Tiziana Izzo

    camtelefonoazzurrosalerno

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