Attraverso questo form è possibile segnalare abusi e/o maltrattamenti a danno dei minori.

    La segnalazione può essere effettuata anche in maniera anonima. In ogni caso, le segnalazioni saranno tempestivamente verificate e inoltrate agli organi territoriali di competenza giuridica che procederanno con le opportune indagini.

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    Dalla cultura della violenza al flebile grido di aiuto dei minori

    #FermiamoLaViolenza

    All’interno di ogni cultura ci sono diverse forme di violenza, in particolare rivolte verso le donne, che vengono giustificate da comportamenti appresi dall’ambiente sociale e culturale. La cultura è “un insieme di valori, definizioni della realtà e codici di comportamento condivisi”, è un costrutto artificiale frutto delle generazioni passate e della storia, ma non è qualcosa di immutabile e fisso. Quei processi che apparentemente appaiono biologici, come starnutire, camminare, fare l’amore, possono essere svolti secondo specifiche modalità. Questi sono detti comportamenti appresi, e vengono trasmessi di generazione in generazione.

    Tali atteggiamenti vengono rafforzati da spot pubblicitari che danno credito al messaggio sotteso della mercificazione del corpo femminile e dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo. Travestono le azioni discriminatorie a “modelli di normalità”, rendendole legittime e naturali.

    In questo contesto vengono definiti i generi attraverso stereotipizzazioni, la donna che indossa solo lingerie, circondata da uomini pronti a sopraffarla, o ancora sempre in casa a svolgere le mansioni domestiche. Trasmettendo questi modelli si perde il reale vissuto della persona privandola di un autentico riconoscimento e distruggendo la credibilità delle sue narrazioni. Le molestie sessuali trovano il loro contesto e consenso all’interno di tale circolarità.

    La storia è la nostra memoria collettiva, ci mostra le nostre origini, il nostro vissuto e con esso gli errori e i fallimenti della società, ma anche e soprattutto i tentativi posti in essere per porre fine a regimi totalitari guidati dal patriarcato. Ne è un esempio la storia delle sorelle Mirabal, definite “las Mariposas” (le farfalle) per il loro modo gentile e nobile di agire.

    Ci troviamo nella repubblica dominicana, nel 1960, quando Patria, Maria Teresa e Minerva vengono rilasciate dopo essere state condannate a 5 anni di lavori forzati, per aver creato un movimento clandestino, detto “14 giugno”, contro la dittatura sanguinaria di Trujillo.

    Il 25 novembre dello stesso anno le tre sorelle, nel tragitto per far visita a due dei loro mariti detenuti in carcere, caddero in un’imboscata degli agenti del servizio segreto militare.

    Portate in una piantagione di canna di zucchero vennero massacrate, bastonate e strangolate. La loro auto fu fatta cadere in un burrone per simulare un incidente.

    L’onda di tale evento fu tale da portare alla fine della dittatura di Trujillo nell’anno successivo, con l’assassinio del dittatore.

    Ecco, eventi storici così drammatici e violenti dovrebbero farci riflettere e farci capire che qualsiasi tipo di violenza non va soltanto riconosciuta dalle istituzioni e condannata, ma va anche combattuta trasmettendo modelli educativi che insegnino ad abbattere le forme di pregiudizio e di costruzione sociale che tutt’oggi sono presenti, in maniera prepotente, nel nostro modo di vivere. L’errore più grande che commettiamo è credere che qualcosa che sia successo in passato, in anni lontani, non possa coinvolgerci in prima persona, e che quel tipo di violenza non appartenga più ai giorni nostri.

    Purtroppo a distanza di tanti anni queste forme di violenza, questi atti violenti, non hanno smesso di esistere. Hanno trovato soltanto modi differenti di esprimersi.

    Ascoltiamo e vediamo costantemente violenze verso le donne, in qualsiasi ambito della società. All’interno della famiglia per esempio, affidando alla donna il ruolo di cura come se spettasse solo a lei. Facendola sentire in ogni occasione inadeguata per il mancato svolgimento delle sue presunte mansioni. Dobbiamo comprendere che sposarsi non è un tacito accordo di subordinazione verso l’uomo, e che tali comportamenti, attuati dall’uomo e riconosciuti culturalmente dalle donne, vengono appresi dai figli, dai bambini, che nel corso della loro vita si fanno un’idea sbagliata di quelli che sono i comportamenti tra uomo e donna. E finiscono con l’interiorizzare azioni, aggressioni fisiche e verbali avvenute all’interno delle mura domestiche, come i mattoni delle loro relazioni future.

    Ma non è finita qui, nei luoghi di lavoro tali violenze continuano. La donna viene fatta sentire inadeguata se indossa abiti che vengono definiti “succinti”, le viene pregiudicata la possibilità di vestire le alte cariche se in età fertile e con l’intenzione di mettere su famiglia. Queste forme di soprusi e abusi si verificano anche in quei luoghi che dovrebbero essere preposti alla protezione e denuncia di qualsiasi forma di violenza. Ne sono un esempio le domande poste alla vittima di uno stupro che rimandano, vergognosamente, ad una colpevolizzazione della vittima: “cosa indossava al momento dell’aggressione?” “ha avuto comportamenti provocatori?”.

    Non è l’abito che aumenta le probabilità di essere violentata, ma la convinzione di poter fare del corpo della donna l’oggetto del desiderio sessuale.  

    Questi comportamenti culturalmente appresi entrano talmente tanto a far parte di noi che non ne siamo più consapevoli, diventano un’immagine routinaria di cui non possiamo fare a meno.

    Ed è in tale contesto che attecchisce il germe della Violenza Assistita, definita come:

    “il fare esperienza da parte del/della bambino/bambina di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori”.

    Così la cultura sottesa della violenza dà forma ordinata alla vita, ed essa venendo insegnata ed elaborata plasma le generazioni. Costituisce una parte importante della socializzazione dei bambini e in questo modo i valori, gli ideali, le opinioni, le norme e le regole, seppur sbagliate, diventano parte della personalità del minore e ne modellano i comportamenti.

    In Italia, nel 2006, l’ISTAT ha messo in evidenza che tra le donne che hanno subito violenze ripetute da partner sono 690.000 quelle che convivevano con i figli al momento della violenza. Il 62,4% di queste donne ha poi dichiarato che i figli sono stati testimoni di uno o più episodi di violenza.

    Da tale scenario comprendiamo che il bambino può assistere ad una violenza direttamente oppure udirne solo i i riflessi sonori, ma in entrambi i casi in esso si creerà una frattura. Ciò che determina l’effetto traumatico è che la vittima e il testimone fanno parte dello stesso gruppo primario. In tali casi il bambino prova sentimenti di paura e rabbia. Ma allo stesso tempo si sente incapace di reagire perché bloccato dalle probabilità di non riuscire a prevalere sull’autore delle violenze. L’esposizione prolungata a situazioni di violenza provoca effetti a breve e lungo termine in grado di intaccare la serenità, il benessere psicofisico e la salute dei bambini. Le conseguenze derivanti dalla forte tensione emotiva cui il minore è sottoposto possono riguardare: un’eccessiva irritabilità, disagio emotivo, disturbi alimentari, problemi nel linguaggio, difficoltà relative al ciclo del sonno, disturbi fisici e malattie psicosomatiche. I comportamenti violenti possono essere estremamente gravi per tutti quei minori che quotidianamente assistono a scene di violenza all’interno delle mura domestiche. I piccoli apprendono che l’uso della violenza è normale nelle relazioni affettive e che l’espressione di pensieri, sentimenti, emozioni, opinioni è pericolosa in quanto può scatenare la violenza. In una casa in cui l’unico esempio di relazione è quello violento, i bambini automaticamente neutralizzano lo stigma della violenza domestica, lo accettano e lo approvano perché hanno imparato, soprattutto dai loro padri, che è l’unico modo di risoluzione del conflitto. I ragazzi possono interiorizzare tale modello come strumento di interazione e le ragazze possono, a loro volta, imparare dalle madri ad internalizzare la vittimizzazione.

    Il primo passo da compiere per salvaguardare la salute psico-fisica dei minori è quello di interrompere la violenza, intervenire rapidamente per far capire ai bambini che non sono da soli, che gli adulti ci sono e che sono in grado di proteggerli e desiderano ascoltarli.

    Dobbiamo, in quanto adulti, sforzarci di ROMPERE IL SILENZIO CHE AVVOLGE LA VIOLENZA, qualunque essa sia.

    Cercare un dialogo con i bambini, e in tale processo di aiuto promuovere dei progetti di prevenzione, attraverso la scuola o le associazioni, che gli insegnino come evitare la violenza nelle relazioni personali.

    Soltanto parlando di violenza si può porre fine ad essa.

    La conoscenza è il più grande strumento di eliminazione della violenza e di qualsiasi forma di discriminazione.

    Francesca Vinciguerra

    Riccardo Altomonte

    Tirocinanti C.A.M. Telefono Azzurro Salerno

    camtelefonoazzurrosalerno

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